La depressione e il dolore cronico sono due delle condizioni di salute più comuni e debilitanti a livello mondiale. Secondo stime di diversi studi, il dolore è diventato il problema più comune al mondo, con una prevalenza nella popolazione adulta che va dal 5% al 60%.
Allo stesso modo, la depressione è considerata la prima causa di disabilità entro il 2030 secondo le previsioni dell’OMS (2017), con una prevalenza stimata del 5-10% nel contesto delle cure primarie. Ricerche recenti suggeriscono che il dolore e la depressione si influenzano reciprocamente e spesso coesistono, con una prevalenza di comorbidità del dolore e della depressione che va dal 30% al 65%.
I pazienti che soffrono di depressione indotta dal dolore cronico presentano una prognosi più sfavorevole rispetto a quelli che soffrono solo di dolore cronico e il dolore cronico e la depressione sono strettamente correlati in termini di insorgenza e sviluppo. Pertanto, la comprensione dell’associazione tra dolore cronico e depressione è fondamentale per sviluppare strategie di trattamento efficaci
L’interazione tra il dolore cronico e la depressione può essere problematica per i pazienti, poiché può portare a una diminuzione della qualità della vita e alla riduzione dell’autonomia personale. Inoltre, l’associazione tra queste due condizioni può influire sulla risposta ai trattamenti, rendendo il controllo del dolore e della depressione più difficile.
Il presente articolo si concentrerà sulla relazione tra dolore cronico e depressione, esaminando le cause comuni e i fattori di rischio, gli effetti sulla salute fisica e mentale, i meccanismi sottostanti e le opzioni di trattamento disponibili.
L’obiettivo di questo articolo è fornire una panoramica completa del tema, in modo da sensibilizzare il pubblico e fornire una guida ai pazienti e ai professionisti sanitari per comprendere meglio questa relazione complessa e trovare le migliori soluzioni per gestire questi disturbi.
- Definizione e Classificazione di Dolore Cronico
- Dolore cronico e Depressione: una relazione bidirezionale
- Epidemiologia della relazione tra Depressione e Dolore Cronico
- Sintomi della Depressione indotta da Dolore Cronico
- Dolore Cronico e Invecchiamento
- Eziopatogenesi comune a Depressione e Dolore Cronico
- Trattamenti Farmacologici per la Depressione indotta da Dolore cronico
- Terapia non farmacologiche per la Depressione da Dolore Cronico
- Prevenzione del Dolore Cronico
- Future prospettive terapeutiche
- Conclusioni

Definizione e Classificazione di Dolore Cronico
Nel determinare la distinzione tra dolore acuto e dolore cronico, spesso viene considerato un intervallo di tempo arbitrario dall’insorgenza, con il marker più comunemente utilizzato che è di 3 mesi dalla sua prima comparsa. Una classificazione ulteriore del dolore si basa sulle caratteristiche cliniche e l’eziologia.
Secondo l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore, il dolore cronico è un dolore che persiste oltre il normale tempo di guarigione dei tessuti (che, in assenza di altri fattori, è generalmente considerato di tre mesi).
Questo dolore non può essere gestito e curato con misure biomediche standard e pertanto il trattamento comprende cure e presidi a lungo termine.
Classificazione di Dolore
Uno dei metodi di classificazione del dolore più utilizzati considera i meccanismi fisiopatologici e neurobiologici sottostanti:
- Dolore nocicettivo dovuto a una lesione o a un possibile danno tissutale.
- Dolore infiammatorio causato da processi infiammatori.
- Dolore neuropatico indotto da una malattia o da una lesione che colpisce il sistema nervoso centrale o periferico somato-sensoriale.
- Dolore funzionale causato da un’anomalia del sistema nervoso non dimostrabile organicamente.
Il dolore nocicettivo è il dolore che deriva da un danno reale o minacciato a tessuti non neuronali ed è dovuto all’attivazione dei nocicettori, mentre il dolore neuropatico è definito come il dolore causato da una lesione o malattia del sistema nervoso somatosensoriale.
Tuttavia, non è raro che il dolore cronico sia il risultato sia di meccanismi neuropatici che nocicettivi e può essere classificato come sindrome dolorosa mista.
Dolore cronico e Depressione: una relazione bidirezionale
I disturbi emotivi, in particolare la depressione, rappresentano comorbilità frequenti che accentuano la severità e la persistenza del dolore cronico, in particolare i sintomi depressivi possono intensificare il dolore e prolungarne la durata, creando un circolo vizioso di dolore e sintomi depressivi.
Attualmente, non è ancora chiaro se sia il dolore a causare la depressione o se sia la depressione ad amplificare il dolore.
Sono state proposte diverse ipotesi per spiegare questa comorbilità. Una ipotesi suggerisce che la depressione possa precedere lo sviluppo del dolore cronico, o al contrario, che il dolore cronico possa indurre sintomi depressivi.
L’ipotesi della “cicatrice” afferma che episodi pregressi di depressione, verificatisi prima dell’insorgenza del dolore cronico, predispongono i pazienti alla depressione non appena il dolore si manifesta. Infine, si ritiene che i fattori psicologici possano influenzare l’interazione tra depressione e dolore.
Nonostante non esista un consenso su una ipotesi definitiva che spieghi il rapporto tra queste comorbilità, le prove evidenziano che il dolore cronico può innescare sintomi depressivi e che la depressione può manifestarsi come dolore sia fisico che emotivo.
La presenza di dolore cronico aumenta significativamente il rischio di depressione maggiore e ansia, e viceversa. I pazienti con dolore cronico possono sviluppare problemi emotivi e disturbi psicosociali.
Degli studi epidemiologici che hanno dimostrato la coesistenza di queste due patologie ne parleremo nel prossimo paragrafo.
La Teoria della Cicatrice
La teoria della cicatrice è una teoria che cerca di spiegare come la depressione e il dolore cronico possano essere collegati. La teoria afferma che il dolore cronico può portare a cambiamenti nel cervello che possono rendere le persone più inclini alla depressione.
Questi cambiamenti includono una diminuzione della produzione di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, un aumento dell’attività dell’amigdala, e una diminuzione della funzione della corteccia prefrontale. La corteccia prefrontale è la parte del cervello responsabile della pianificazione, del controllo degli impulsi e della regolazione delle emozioni. Quando la corteccia prefrontale non funziona correttamente, può essere difficile far fronte al dolore e alle emozioni negative.
La teoria della cicatrice è supportata da prove scientifiche:
- Ad esempio, uno studio ha scoperto che le persone con dolore cronico hanno livelli più bassi di serotonina e dopamina rispetto alle persone senza dolore cronico.
- Un altro studio ha scoperto che le persone con dolore cronico hanno una maggiore attività dell’amigdala, che è la parte del cervello responsabile della risposta allo stress e alla paura.
- Un terzo studio ha scoperto che le persone con dolore cronico hanno una diminuzione della funzione della corteccia prefrontale.
Questa teoria ha importanti implicazioni per il trattamento della depressione e del dolore cronico. Se la depressione è causata da cambiamenti nel cervello indotti dal dolore cronico, allora il trattamento del dolore cronico può aiutare a migliorare i sintomi della depressione. Infatti alcuni studi hanno dimostrato che il trattamento del dolore cronico può essere efficace nel ridurre i sintomi della depressione.
Le vie anatomiche cerebrali comuni alla Depressione e al Dolore Cronico
Il dolore cronico e la depressione sono collegati attraverso reti complesse di strutture cerebrali centrali. Queste strutture includono:
- il cingolato anteriore (ACC),
- la corteccia prefrontale (PFC),
- la corteccia insulare,
- l’amigdala,
- il talamo e il nucleo accumbens (NAc), che fanno parte del circuito di ricompensa mesolimbico.
Tutti questi sono coinvolti nella percezione del dolore e nella regolazione delle risposte emotive.

Le stesse strutture cerebrali, come la corteccia insulare, la PFC, l’ACC, il talamo e l’amigdala, sono coinvolte nella codifica del dolore e dell’umore. Queste strutture convergono nel complesso neuroanatomico della regione dell’amigdala che svolge un ruolo chiave nell’elaborazione dello stress, delle emozioni, della depressione e del dolore persistente.
Un’altra struttura chiave è l’ippocampo, che regola l’asse ipotalamico-ipofisario-surrenale. Questo organo è vulnerabile allo stress e alla depressione e le alterazioni del suo volume sono state riscontrate in pazienti depressi. L’ippocampo svolge un ruolo nella neurogenesi, associata all’apprendimento e alla memoria, ma può anche stimolare lo sviluppo del dolore cronico. Una riduzione della neurogenesi nell’ippocampo è strettamente associata a deficit di memoria e stati affettivi avversi in pazienti con dolore cronico.
Il Nucleo del Rafe Dorsale (DRN) sintetizza la serotonina (5-HT), un neurotrasmettitore che innerva molte regioni del cervello, tra cui il talamo, la PFC, la corteccia insulare e l’amigdala, che svolgono un ruolo fondamentale nell’umore, nelle risposte allo stress e nella regolazione del dolore cronico.
Un recente studio ha messo in evidenza il ruolo centrale della habenula laterale (LHb), un’area del cervello strettamente associata al dolore e alla depressione, nel comprendere la relazione tra queste due condizioni attraverso la modulazione del sistema serotoninergico.
I ricercatori hanno osservato che un gruppo di neuroni serotoninergici (che producono serotonina) situati nel DRN (un’area del cervello coinvolta nella regolazione dell’umore) si proiettano verso la LHb attraverso l’amygdala centrale (CeA). In condizioni di dolore cronico, l’attività di questi neuroni nel DRN viene inibita e i livelli di serotonina nell’amygdala diminuiscono.
Questi cambiamenti nel sistema serotoninergico possono essere collegati all’attività della LHb. Numerosi studi hanno indicato che la LHb è una struttura che collega il dolore cronico e la depressione. La LHb viene attivata in presenza di dolore cronico, ma quando la LHb è lesionata in un modello animale di dolore neuropatico, i comportamenti depressivi e il dolore cronico diminuiscono.
Questi risultati suggeriscono l’esistenza di un circuito che include la LHb, il DRN e la CeA, nel quale l’attività reciproca tra queste strutture può sostenere comportamenti depressivi. In particolare, i neuroni serotoninergici del DRN, attraverso il percorso verso la LHb via CeA, regolano l’attività della LHb. A sua volta, la LHb inibisce i neuroni serotoninergici del DRN, evidenziando l’interazione chiave tra la LHb e il sistema serotoninergico nel modulare il dolore e la depressione.
Ulteriori prove supportano l’importanza del recettore 5-HT1A nella regolazione del dolore e della depressione. L’attivazione di questo recettore in certe aree del cervello sembra ridurre la trasmissione del dolore e avere un effetto antidepressivo.
Epidemiologia della relazione tra Depressione e Dolore Cronico
Il dolore cronico rappresenta un problema di salute pubblica importante, con studi epidemiologici che riportano che negli Stati Uniti e in Europa circa un quinto della popolazione generale ne è affetto. Inoltre, essendo uno dei disturbi mentali più comuni e invalidanti, la depressione è stata segnalata come il terzo principale causa di malattia a livello mondiale.
Numerosi studi hanno analizzato la comorbilità tra dolore e depressione. I risultati suggeriscono che il 65% dei pazienti con depressione riferisce anche uno o più dolori, mentre fino al 85% dei pazienti con dolore riferisce anche depressione.
Studi di letteratura
Dei 100 articoli scientifici più citati che studiato la correlazione tra dolore e depressione, 47 indicano che il dolore causa la depressione, 23 riportano una correlazione e 9 rivelano che la depressione causa il dolore.
I ricercatori hanno scoperto che la presenza di dolore influisce negativamente sul riconoscimento e sul trattamento della depressione e che la depressione nei pazienti con dolore è associata a un maggior numero di disturbi e a una maggiore compromissione.
In diversi studi su pazienti che si presentavano in cliniche specializzate nella valutazione del dolore è stata valutata sistematicamente la prevalenza di condizioni psichiatriche. I disturbi affettivi e d’ansia sono stati i più comunemente riscontrati. Ad esempio, la prevalenza di depressione maggiore nei pazienti con lombalgia cronica è 3-4 volte superiore a quella della popolazione generale.
Altri studi epidemiologici hanno dimostrato che il dolore cronico può aumentare il rischio di depressione tra 2,5 e 4,1 volte. Allo stesso modo, i pazienti affetti da un disturbo depressivo maggiore hanno tre volte più probabilità di soffrire di dolore non neuropatico e sei volte più probabilità di soffrire di dolore neuropatico.
Questi dati sostengono l’ipotesi che un fattore patogeno comune tra il dolore cronico e la depressione potrebbe essere la neuroinfiammazione subclinica cronica sottesa ad entrambe le condizioni.
Sintomi fisici, algie e depressione
La compresenza di sintomi fisici e depressione è una problematica comune nel contesto medico. Circa il 60% dei pazienti con depressione maggiore riporta sintomi di dolore al momento della diagnosi. In uno studio condotto su 1.016 membri di una assicurazione privata, si è osservato che le persone con depressione da moderata a grave avevano una probabilità superiore di sviluppare cefalea e dolore toracico a 3 anni dall’inizio dello studio. Questi dati indicano come la depressione possa precedere lo sviluppo di condizioni dolorose croniche, con un rischio che aumenta ulteriormente con l’età avanzata, in particolare per dolori al collo, alla schiena e all’anca.
Un aspetto preoccupante è che, anche a 8 anni di distanza, i pazienti depressi hanno il doppio delle probabilità di sviluppare una nuova condizione di dolore cronico rispetto ai soggetti non depressi. Il legame tra condizioni fisiche croniche e depressione è ulteriormente confermato dall’osservazione che nei gruppi di pazienti con sintomi fisici inspiegabili dal punto di vista medico, come il mal di schiena cronico e le vertigini croniche, il 66% dei pazienti ha una storia di depressione maggiore ricorrente rispetto a meno del 20% dei gruppi di controllo con sintomi spiegati dal punto di vista medico. Inoltre, è stato dimostrato un nesso lineare tra la presenza di depressione, i disturbi d’ansia nel corso della vita e il numero di sintomi inspiegabili dal punto di vista medico, inclusi i disturbi algici.
Allo stesso tempo, l’incidenza di depressione è notevolmente elevata nei pazienti con dolore cronico. In particolare, si stima che tra l’8% e il 50% dei pazienti con dolore cronico indirizzati per una valutazione a programmi di cura del dolore presenta attualmente una depressione maggiore. In un altro studio, la prevalenza della depressione era del 12% nei soggetti con 3 o più disturbi da dolore, rispetto a solo l’1% in quelli con uno o nessun disturbo da dolore. Secondo un’indagine di follow-up di 8 anni condotta dal Centro Statistico Statunitense per la Salute, il 32,8% della popolazione generale ha riferito sintomi di dolore cronico e la depressione è stata individuata come la variabile più importante associata al dolore cronico persistente. In particolare, il dolore che comportava una perdita di indipendenza o di mobilità e che riduceva la partecipazione alle attività sociali aumentava significativamente il rischio di depressione.
In sintesi, queste ricerche indicano un rapporto bidirezionale tra depressione e dolore cronico, con implicazioni significative per l’identificazione di strategie di trattamento efficaci per questi pazienti.
Familiarità a Dolore cronico e Depressione
Anche gli studi sulla famiglia hanno confermato l’aumento del rischio di depressione nei pazienti con dolore cronico. Rispetto alla popolazione generale, i pazienti con dolore cronico hanno un maggior numero di parenti di primo grado con depressione e disturbi depressivi.
Anche nei pazienti con dolore cronico senza una storia personale di depressione, sono stati riscontrati tassi significativamente più elevati di depressione nei membri della famiglia. Una vulnerabilità biologica ai disturbi affettivi nei pazienti predisposti al dolore cronico è supportata anche da studi sui marcatori biologici.
Dolore cronico e Depressione nella Terza età
Una recente meta-analisi ha stimato che la prevalenza della depressione maggiore nelle persone di 50 anni o più nei paesi occidentali è del 16,5%. Un altro studio ha mostrato che l’incidenza della depressione aumenta con l’età. Questo aspetto evidenzia una relazione tra alcune delle patologie croniche degli anziani.
Per quanto riguarda il dolore cronico, la sua prevalenza nella popolazione generale varia ampiamente a causa delle differenze tra le popolazioni studiate e la metodologia degli studi. I dati mostrano che la prevalenza del dolore cronico negli anziani può arrivare fino al 55% dopo i 60 anni e fino al 62% dopo i 75 anni.
Considerando che sia la depressione che il dolore cronico sono comuni negli anziani, non è raro che queste due condizioni coesistano. Utilizzando strumenti validati per la diagnosi della depressione si è dimostrato che il 13% degli anziani soffre sia di depressione che di dolore cronico.
Si è riscontrata una forte associazione tra la gravità del dolore e la presenza di depressione negli anziani, un legame che non è invece evidente nelle persone più giovani. Le donne mostrano una forte associazione tra le due condizioni, con una maggiore probabilità di soffrire di dolore cronico se soffrono anche di depressione.
Sono disponibili solo dati limitati sul rischio di depressione in base alla localizzazione anatomica del dolore. In uno studio, è stato dimostrato che il dolore toracico cronico era indipendentemente associato alla depressione, mentre il dolore in altre localizzazioni, come il collo, la schiena o le articolazioni, non lo era. Non sono ancora stati pubblicati studi su larga scala riguardo ai sottotipi di dolore cronico e alla loro relazione con la depressione negli anziani.
Sintomi della Depressione indotta da Dolore Cronico
Nelle persone affette da dolore cronico, la depressione può manifestarsi in modi più sottili e insidiosi rispetto alle sue forme più tradizionali. Spesso, questi pazienti si concentrano sui loro sintomi fisici, trascurando o non riconoscendo i segni di disturbo emotivo o mentale. Inoltre, la loro sofferenza fisica può oscurare o confondere i sintomi della depressione, rendendo difficile la diagnosi e il trattamento.
Un fattore significativo è che le persone con dolore cronico, in modo particolare negli anziani, possono essere meno propense a riconoscere e discutere i loro sintomi depressivi con il loro medico. Potrebbero essere più concentrati sulla gestione del loro dolore fisico, o potrebbero non riconoscere i sintomi della depressione come parte di un quadro clinico più ampio.
In effetti, studi hanno dimostrato che fino alla metà delle persone con depressione che cercano aiuto medico lamentano solo i sintomi fisici, lasciando in secondo piano gli aspetti legati al basso umore. Questa situazione può mettere in dubbio la possibilità di ricevere un trattamento adeguato e specifico per la depressione.
I sintomi della depressione in pazienti con dolore cronico possono includere:
- Mancanza di interesse o piacere per le attività che un tempo erano apprezzate, compresi hobby, lavoro o interazioni sociali.
- Umore depresso o irritabilità, che può manifestarsi come tristezza, frustrazione o rabbia.
- Cambiamenti nel ritmo del sonno, compresa l’insonnia (difficoltà a dormire) o l’ipersonnia (eccessiva sonnolenza diurna).
- Cambiamenti nell’appetito, che possono includere la mancanza di appetito o un aumento dell’appetito. Questi cambiamenti possono anche portare a una perdita o a un aumento di peso.
- Sentimenti di colpa, di inutilità o di disperazione, che possono essere particolarmente pronunciati se la persona sente che il suo dolore è un peso per gli altri.
- Mancanza di energia o affaticamento, che possono essere esacerbati dal dolore fisico.
- Difficoltà di concentrazione, che può influenzare la capacità della persona di lavorare, studiare o partecipare ad attività di svago.
- Pensieri di morte o suicidio, che possono essere un segno di depressione grave e richiedono un intervento medico immediato.
- Lamentela o preoccupazione eccessiva per il proprio dolore, con idee “fisse” o ossessive legate al proprio stato di salute.
La comprensione e il riconoscimento di questi sintomi sono cruciali per il trattamento efficace sia del dolore cronico che della depressione.
Una strategia terapeutica integrata, che affronti sia i sintomi fisici che quelli psicologici, può offrire il miglior percorso per il miglioramento della qualità della vita in questi pazienti.
Dolore Cronico e Invecchiamento
L’invecchiamento è un processo naturale caratterizzato da numerose alterazioni somatiche ed emotive e costituisce un fattore di rischio significativo per la maggior parte delle malattie. È fondamentale notare che, oltre ai cambiamenti fisici, il tributo emotivo dell’accumulo di esperienze negative come le malattie può influenzare in modo significativo la salute mentale degli anziani, predisponendoli a condizioni come la depressione e il dolore cronico.
La depressione è particolarmente diffusa e curabile tra gli anziani e spesso si manifesta non solo attraverso il disagio emotivo, ma anche con sintomi somatici atipici come la stanchezza. Lo sviluppo di sintomi depressivi in terza età ha ricevuto un’attenzione significativa negli ultimi decenni da parte degli studiosi a causa della sua frequenza e del suo impatto sulla qualità della vita degli anziani.
Come la depressione, anche il dolore cronico è comune tra gli anziani e può comportare un notevole carico emotivo. Le attuali conoscenze riconoscono il dolore cronico non solo come un sintomo, ma come una malattia in sé, a causa dei notevoli cambiamenti che induce nel sistema nervoso.
Un problema in più: la diagnosi differenziale con il decadimento cognitivo
Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali la diagnosi di disturbo depressivo maggiore richiede la presenza di sintomi quali umore depresso, disturbi del ciclo del sonno, affaticamento e scarsa concentrazione per almeno 2 settimane, che causano un disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento sociale.12 Tuttavia, i comportamenti depressivi occulti negli anziani rimangono una sfida per lo psichiatra, soprattutto perché tali comportamenti sono spesso manifestazioni di una sottostante disfunzione cognitiva precoce.
Il problema che quindi si aggiunge approcciando un paziente nella sua terza età è proprio la distinzione tra un quadro depressivo e un quadro invece di iniziale decadimento cognitivo. Aspetto che se non intercettato e gestito a dovere potrebbe rendere inefficace l’intervento e ritardare le cure.
Il deterioramento cognitivo lieve (MCI) descrive la zona grigia tra una funzione cognitiva normale e la demenza. Le persone affette da MCI possono avere difficoltà nella memoria, nel linguaggio, nelle capacità di pensiero o di giudizio. Queste difficoltà, tuttavia, non sono abbastanza gravi da interferire con la vita quotidiana o con la funzionalità indipendente.
Spesso i primi sintomi dell’MCI sono l’apatia, il ritiro e la negligenza verso se stessi. I pazienti affetti da malattie neurodegenerative, compreso l’MCI, hanno difficoltà a riferire accuratamente i propri sintomi. Per esempio, invece di riferire o essere in grado di riconoscere il sentimento di tristezza, potrebbero presentare ansia. Allo stesso modo, la valutazione del dolore nelle persone affette da demenza è particolarmente complicata a causa della perdita della capacità di comunicazione, che limita la segnalazione soggettiva del dolore che normalmente ci si aspetterebbe da adulti cognitivamente sani.
La relazione tra depressione e disfunzione cognitiva è molto complicata e finora non ben decodificata. Infatti, i sintomi e la presentazione clinica spesso si sovrappongono, per cui i medici si trovano di fronte a una decisione difficile quando si tratta di scegliere la strategia di trattamento appropriata.
Studi recenti si stanno concentrando sempre più sulla neuroinfiammazione come potenziale fattore patogenetico comune tra il dolore cronico, la depressione e altre patologie diffuse negli anziani compresa la demenza. La natura cronica di queste condizioni, la loro prevalenza nella popolazione anziana e il loro impatto sul sistema nervoso rendono il ruolo della neuroinfiammazione un’area di particolare interesse.
Eziopatogenesi comune a Depressione e Dolore Cronico
Negli ultimi anni, la ricerca ha prodotto nuove scoperte circa le connessioni tra infiammazione, dolore e depressione. L’infiammazione, un processo biologico fondamentale per il combattimento contro le infezioni e per la guarigione delle ferite, può diventare patologica se diventa cronica o seccessiva. Studi recenti hanno dimostrato che l’infiammazione può giocare un ruolo significativo nella patogenesi del dolore cronico e della depressione.
Un aspetto chiave di questo legame è il modo in cui l’infiammazione può influenzare il cervello. I segnali infiammatori, come i citochine infiammatorie, possono attraversare la barriera emato-encefalica e indurre cambiamenti nel cervello che influenzano il metabolismo dei neurotrasmettitori, la funzione neuroendocrina e la neuroplasticità. Questi cambiamenti possono influenzare le aree del cervello coinvolte nella regolazione dell’umore, portando a sintomi di depressione.
Queste scoperte indicano che il controllo dell’infiammazione potrebbe essere un’importante strategia terapeutica per il trattamento del dolore cronico e della depressione. Ad esempio, potrebbe essere possibile sviluppare farmaci anti-infiammatori o immunomodulatori che possano ridurre l’infiammazione nel cervello e migliorare i sintomi della depressione. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere completamente i meccanismi che collegano l’infiammazione, il dolore e la depressione e per sviluppare nuovi trattamenti efficaci basati su queste scoperte.
La patofisiologia della depressione indotta dal dolore cronico coinvolge vari meccanismi molecolari. Tra questi troviamo i neurotrasmettitori monoaminici, il fattore neurotrofico derivato dal cervello, i fattori infiammatori e il glutammato con i suoi sottotipi di recettori.
Neuro-immuno-infiammazione del Cervello
Le neuroscienze hanno subito una rivoluzione drammatica, soprattutto per quanto riguarda l’approfondimento dei meccanismi immunologici che stanno alla base del dolore cronico e della depressione.
Una delle idee chiave che è stata messa in discussione è quella del “privilegio immunitario” del sistema nervoso centrale (SNC), che comprende il cervello e il midollo spinale. Questo concetto sosteneva che il SNC fosse in qualche modo protetto o isolato dalle risposte infiammatorie del resto del corpo, ma recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che in realtà esiste una chiara interazione tra il SNC e queste risposte periferiche.
Un meccanismo che sembra influire su dolore cronico e depressione è rappresentato dai fattori infiammatori che causano cambiamenti nelle aree anatomiche e funzionali cerebrali che incidono sulla depressione e il dolore cronico. Questi fattori agiscono attraverso la barriera emato-encefalica e causano alterazioni nel metabolismo dei neurotrasmettitori e nella funzione neuroendocrina.
E’ stato proposto che i processi infiammatori nella depressione inducano alterazioni della regolazione immunitaria nel sistema nervoso centrale. Livelli elevati di corticosteroidi e un aumento dell’espressione periferica di citochine, che vengono attivamente trasportate nel sistema nervoso centrale, possono portare alla stimolazione di microglia e astrociti, che a loro volta producono ulteriori citochine attraverso un meccanismo di feedback.
Le citochine
Le citochine, proteine prodotte dal sistema immunitario, influenzano l’infiammazione e possono intensificare il dolore neuropatico se presenti in eccesso. Interessante è la correlazione tra infiammazione e depressione, evidenziata nei pazienti trattati con interferone-alfa (IFN-α), utilizzato per il melanoma maligno o l’epatite C. Questi pazienti spesso presentano un peggioramento dei sintomi depressivi, suggerendo che l’infiammazione indotta da IFN-α possa contribuire alla depressione. Questo legame tra infiammazione, dolore cronico e depressione potrebbe guidare nuovi approcci terapeutici.
Cellule della Glia e Mastociti
Le cellule gliali, come le microglie, funzionano come pulitori del sistema nervoso centrale, ma possono diventare iperattive con l’età e l’infiammazione cronica, rispondendo eccessivamente ai segnali infiammatori. Studi hanno mostrato la loro attivazione nei pazienti con dolore lombare cronico, suggerendo un ruolo centrale della neuroinfiammazione nel dolore cronico.
Inoltre, i mastociti fungono da collegamento tra il sistema immunitario periferico e il cervello. Con l’invecchiamento, si verifica un aumento sia del loro numero che della loro reattività, che influenzano i recettori del dolore e le fibre nervose primarie del dolore. Il processo di “degranulazione dei mastociti” porta a una maggiore sensibilità al dolore, poiché rilasciano sostanze chimiche che aumentano la sensibilità della pelle e altre aree del corpo.
In altre parole, sebbene le risposte immunitarie siano inizialmente benefiche nel proteggere il corpo, una risposta eccessiva o prolungata può avere conseguenze dannose: sia il dolore cronico che la depressione potrebbero essere influenzati o addirittura causati da processi infiammatori all’interno del sistema nervoso centrale.
Neurogenesi e neuroplasticità
La neurogenesi nell’adulto è un altro meccanismo che non è stato completamente chiarito nella depressione indotta dal dolore cronico. La neurogenesi nell’adulto è la capacità del cervello di produrre nuove cellule nervose, o neuroni, durante l’intero arco della vita. Ad esempio, alcuni studi condotti sui topi hanno scoperto che la neurogenesi delle cellule nell’ippocampo dei topi diminuiva significativamente dopo lunghi periodi di stress o infiammazione.
L’attivazione infiammatoria cronica potrebbe quindi promuovere la soppressione della neurogenesi e della neuroplasticità, favorendo ulteriormente lo sviluppo di sintomi depressivi.
Si ipotizza quindi che un’infiammazione preesistente, per esempio indotta da una condizione di dolore cronico, possa preparare il terreno per l’insorgenza della depressione.
BDNF
Il fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF) è una proteina cruciale per la salute e il funzionamento del sistema nervoso. È coinvolto in un’ampia varietà di processi neurali, tra cui la crescita e la differenziazione dei neuroni, la sopravvivenza dei neuroni invecchiati o danneggiati, la plasticità neuronale (ovvero la capacità dei neuroni di adattarsi e cambiare in risposta agli stimoli), e la regolazione del dolore.
In relazione ai disturbi della salute mentale e al dolore cronico, il BDNF ha dimostrato di essere un protagonista significativo. Studi hanno mostrato che la depressione può ridurre i livelli di BDNF nel cervello e nel sangue e questa riduzione è stata associata alla comparsa e alla persistenza del dolore cronico. Uno studio pubblicato nel 2010 ha trovato che i livelli di BDNF erano significativamente più bassi nei pazienti con depressione rispetto ai controlli sani, suggerendo un possibile collegamento tra la depressione e la riduzione del BDNF.
Inoltre, alcune ricerche indicano che il BDNF può regolare l’ipersensibilità al dolore. Uno studio del 2006 ha scoperto che il BDNF attiva la proteina chinasi C nei neuroni spinali, un processo che è implicato nell’ipersensibilità al dolore.
La connessione tra BDNF, depressione e dolore cronico sembra essere reciproca. Non solo la depressione può ridurre i livelli di BDNF e aumentare la sensibilità al dolore, ma anche il dolore cronico può a sua volta ridurre i livelli di BDNF e contribuire all’insorgenza di depressione. Ciò suggerisce un possibile ciclo di feedback negativo in cui la depressione e il dolore cronico possono amplificarsi reciprocamente attraverso la riduzione del BDNF.
Neurotrasmettitori monoaminici e Glutamatergici
I neurotrasmettitori monoaminici come la serotonina (5-HT), la dopamina (DA) e la noradrenalina (NE) hanno un ruolo fondamentale nel funzionamento del nostro sistema nervoso. Secondo l’ipotesi monoamminica classica, questi neurotrasmettitori sono di importanza cruciale nella depressione, suggerendo che una ridotta disponibilità di 5-HT e NE nel cervello può portare alla comparsa di questa patologia.
Tuttavia, questi neurotrasmettitori non solo sono coinvolti nell’insorgenza della depressione, ma rivestono anche un ruolo significativo nel dolore cronico. In particolare, è stato dimostrato che la stimolazione elettrica di certe aree del cervello, come il sistema grigio periaqueduttale e la midollare ventrale rostrale, può aumentare i livelli di NE nel liquido cerebrospinale, generando un effetto analgesico.
Il sistema dopaminergico del mesencefalo, in particolare, è stato indicato come un area di rilevanza nello studio delle alterazioni della neuroplasticità legate sia al dolore cronico che alla depressione. La DA modula le attività del prosencefalo, una regione del cervello coinvolta in una vasta gamma di funzioni cognitive e emotive.
È stato riscontrato che il dolore persistente può causare cambiamenti significativi nell’attività DA nell’area limbica del mesencefalo. Le tecniche di imaging hanno rivelato una diminuzione della sensibilità del sistema DA in questa regione in risposta a stimoli principali nei soggetti con dolore cronico.
Il glutammato è un neurotrasmettitore fondamentale nel nostro cervello, che svolge un ruolo significativo in numerose funzioni cognitive e sensoriali. Tuttavia, nel contesto del dolore cronico e della depressione, l’attività del glutammato può avere conseguenze problematiche.
Si pensi al glutammato come a un agente stimolante nel sistema nervoso. Normalmente, il suo effetto è controbilanciato da un altro neurotrasmettitore, il GABA, che agisce come un calmante. Questo equilibrio è fondamentale per la normale funzione del sistema nervoso. Nel dolore cronico, tuttavia, l’attività del glutammato e dei suoi recettori nel midollo spinale può aumentare, causando iperalgesia, o un aumento della sensibilità al dolore.
Questo aumento dell’attività glutamatergica può derivare da un’alterazione del normale equilibrio con l’inibizione GABAergica. Il GABA, essendo un neurotrasmettitore inibitorio, agisce per calmare l’eccitabilità del sistema nervoso. Ma in alcune condizioni patologiche, questo equilibrio può essere interrotto rendendo il sistema nervoso più eccitabile e indebolendo l’effetto calmante del GABA. Questa situazione può portare a un aumento dell’attività glutamatergica, che a sua volta può amplificare la sensibilità al dolore.
La regolazione dei livelli e dell’attività di glutammato e GABA nel sistema nervoso è un delicato equilibrio che, se alterato, può portare a una maggiore sensibilità al dolore e potenzialmente a sintomi di depressione.
In sintesi, la neurobiologia del dolore cronico e della depressione è una questione complessa che coinvolge l’interazione di molteplici neurotrasmettitori e meccanismi di modulazione del dolore.
Le modificazioni epigenetiche
Le modificazioni epigenetiche sembrano svolgere un ruolo nella comorbilità tra dolore cronico e depressione. Queste modificazioni causano un cambiamento nella struttura della cromatina, che regola la capacità dei fattori di trascrizione di raggiungere le regioni promotrici sul DNA. I meccanismi utilizzati per questo processo includono la metilazione del DNA e degli istoni, l’acetilazione degli istoni, l’ubiquitinazione e la fosforilazione. Alcuni studi condotti sui topi hanno mostrato che l’inibizione dell’acetilasi degli istoni aumenta i livelli di acetilasi nel nucleo accumbens e nella sostanza grigia periacqueduttale inducendo comportamenti simili a quelli descritte nella depressione.
Quanto descritto suggerisce che il dolore cronico, lo stress e l’infiammazione possono influenzare la capacità del cervello di produrre nuove cellule nervose, il che può essere collegato alla depressione. Tuttavia, la comprensione esatta di come il dolore cronico influenzi la neurogenesi nell’adulto e come ciò possa contribuire alla depressione è ancora un’area di ricerca.
Varianti genetiche comuni
Nonostante la natura cronica ed eterogenea di entrambe le patologie, esse presentano una componente genetica significativa nel loro sviluppo.
Gli studi di associazione genomica (GWAS) hanno identificato varianti e geni indipendenti associati al disturbo depressivo maggiore e al dolore cronico in diverse parti del corpo.
Sebbene le analisi di correlazione genetica abbiano identificato una base genetica condivisa tra depressione maggiore e alcuni tipi di dolore, non è certo se questo rifletta una relazione causale o una relazione pleiotropia. In genetica, la pleiotropia è un fenomeno per cui un singolo gene influisce su più caratteristiche o fenotipi. In altre parole, una mutazione o una variazione in un gene può influire su più di una caratteristica.
Un esempio di pleiotropia tra dolore cronico e depressione potrebbe essere un allele specifico che aumenta il rischio di sviluppare sia il dolore cronico che la depressione. Questo allele potrebbe influenzare la regolazione dell’espressione genica di proteine coinvolte nella trasmissione del segnale del dolore e nella regolazione dell’umore. Pertanto, un individuo che porta questo allele potrebbe avere un rischio maggiore di sviluppare sia il dolore cronico che la depressione rispetto a un individuo che non porta l’allele.
Uno studio ha trovato prove a sostegno di una connessione tra depressione e dolore in siti specifici del corpo come testa, collo/spalla, schiena e addome/stomaco, ma non in altri siti come viso, anca o ginocchio. Gli autori hanno anche scoperto modifiche del tessuto cerebrale nella depressione, nel dolore al collo/spalla e nella cefalea, suggerendo un meccanismo neurale alla base del legame tra queste due condizioni.
Lo studio ha anche rilevato che il dolore cronico geneticamente previsto aumenta il rischio di depressione, a sostegno delle osservazioni cliniche e degli esperimenti comportamentali sugli animali sull’esistenza di un’interazione reciproca tra dolore e depressione. Gli autori suggeriscono che la depressione e il dolore possono essere collegati da meccanismi neurobiologici di base comuni sia a livello tissutale che molecolare.
Trattamenti Farmacologici per la Depressione indotta da Dolore cronico
Oppioidi
L’uso degli oppioidi come farmaci efficaci per il trattamento del dolore cronico è ben noto. Tuttavia, la ricerca recente ha mostrato un crescente interesse per il potenziale degli oppioidi nel trattamento della depressione, soprattutto quella indotta dal dolore.
Gli studi hanno identificato tre tipi classici di recettori oppioidi coinvolti nella regolazione dell’umore, che possono potenzialmente avere un effetto antidepressivo. Gli studi sugli animali e la ricerca clinica hanno inoltre dimostrato che alcuni oppioidi, come la buprenorfina e il tramadolo, possono essere utili nel trattamento della depressione.
Modulando i sistemi neurotrasmettitoriali, alcuni oppioidi possono migliorare la plasticità sinaptica e raggiungere l’obiettivo della terapia antidepressiva.
Tuttavia, l’uso a lungo termine degli oppioidi nella terapia antidepressiva desta preoccupazione. I pazienti possono sviluppare una forte dipendenza dagli oppioidi, con conseguente aumento del rischio di depressione e iperalgesia.
Diversi studi hanno inoltre riscontrato un legame tra l’uso a lungo termine di oppioidi e l’aumento del rischio di depressione.
Pertanto, l’uso diffuso degli oppioidi nel trattamento della depressione indotta dal dolore cronico deve essere ulteriormente esaminato ed esplorato.
Benzodiazepine
Le benzodiazepine sono un tipo di farmaco che si è dimostrato efficace nel trattamento di dolori cronici come il dolore neuropatico o il dolore infiammatorio. Il loro funzionamento consiste nell’interazione con un bersaglio molecolare chiamato recettore GABA-A presente nel midollo spinale, che può contribuire a ridurre la sensibilità al dolore.
È interessante notare che i recettori GABA-A svolgono anche un ruolo nella regolazione dell’umore, suggerendo che le benzodiazepine potrebbero avere un potenziale come terapia antidepressiva. Infatti, studi sui topi hanno dimostrato che l’eliminazione di un sottotipo specifico del recettore GABA-A porta a un aumento dell’ansia e di comportamenti simili alla depressione, il che suggerisce che le benzodiazepine potrebbero essere in grado di aiutare la depressione indotta dal dolore cronico.
Antidepressivi IMAO
Gli inibitori della monoamino ossidasi (IMAO) sono un tipo di farmaco antidepressivo che agisce inibendo l’attività dell’enzima monoamino ossidasi, utilizzata a livello cellulare per scomporre neurotrasmettitori come la noradrenalina e la serotonina. Ciò aumenta i livelli di questi neurotrasmettitori nel cervello, alleviando i sintomi della depressione.
Mentre gli IMAO tradizionali hanno effetti collaterali significativi e una potenziale tossicità epatica, è stato sviluppato un farmaco più recente, chiamato moclobemide, che inibisce selettivamente le MAO di tipo A e che è risultato avere un effetto antidepressivo negli anziani.
Oltre al potenziale uso nel trattamento della depressione, alcuni studi clinici hanno dimostrato che gli IMAO possono essere utili nel trattamento del dolore cronico, compreso quello neuropatico, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi risultati.
Nel complesso, l’uso degli IMAO nel trattamento della depressione cronica indotta dal dolore è un’area che richiede ulteriori indagini attraverso nuovi studi clinici.
Antidepressivi Triciclici
I farmaci antidepressivi triciclici, che comprendono amitriptilina, imipramina, nortriptilina e desipramina, sono un tipo di farmaci antidepressivi tradizionali. Agiscono inibendo la ricaptazione dei neurotrasmettitori serotonina (5-HT) e noradrenalina (NE) a livello delle sinapsi, migliorando l’inibizione del dolore endogeno del sistema nervoso centrale (SNC).
Questo meccanismo d’azione li rende efficaci nell’alleviare molti tipi di dolore cronico, soprattutto quello neuropatico. Negli ultimi anni sono emersi studi che si concentrano sull’applicazione dei farmaci antidepressivi triciclici nella gestione del dolore, a causa dei cambiamenti neuroplastici simili che si verificano sia nel dolore che nella depressione nel sistema dei neurotrasmettitori monoaminici.
Per esempio, uno studio clinico ha indicato che dosi locali elevate di amitriptilina sono efficaci nel trattamento del dolore neuropatico, mentre un altro studio clinico che ha messo a confronto tre antidepressivi, tra cui la desipramina, l’amitriptilina e la fluoxetina (appartenente ad un’altra categoria di antidepressivi), ha confermato che tutti e tre i farmaci sono in grado di ridurre il dolore provato dai pazienti affetti da nevralgia posterpetica.
I triciclici desipramina e amitriptilina sono stati ben tollerati e hanno fornito un sollievo più significativo dal dolore nel 53%-80% dei soggetti.
Inibitori del Reuptake delle Monoamine SSRI e SNRI
I neurotrasmettitori monoaminici, tra cui la serotonina (5-HT) e la noradrenalina (NE), svolgono un ruolo importante nella regolazione dell’umore e del dolore. La ricaptazione di questi neurotrasmettitori è un fattore determinante e contribuisce a regolare l’attività della rete nervosa in tutto il SNC, ottenendo un effetto antidepressivo.
Gli inibitori selettivi della ricaptazione di 5-HT (appartenenti alla categoria degli SSRI) e gli inibitori della ricaptazione di 5-HT e NE (appartenenti alla categoria degli SNRI) sono due tipi di inibitori che sono stati sviluppati e sono comunemente utilizzati come farmaci di prima linea per la terapia antidepressiva clinica.
Nonostante il ruolo significativo degli SSRI nella depressione, ci sono ancora pochi studi che giustificano l’efficacia del trattamento con SSRI per le condizioni di dolore cronico e i risultati riportati non sono conclusivi. Per dimostrare l’efficacia degli SSRI nel trattamento del dolore nella popolazione generale e negli anziani è necessaria la replica di studi randomizzati e controllati più ampi.
Tra le molecole più studiate vi sono:
- ad esempio, la venlafaxina, un SNRI inibitore della ricaptazione di 5-HT e NE, è risultata in grado di ridurre significativamente il dolore nei pazienti con dolore neuropatico cronico e di aumentare il potere analgesico degli oppiacei solo se somministrata in acuto e non per lunghi periodi.
- La duloxetina è un inibitore della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina che si è dimostrato efficace sia come antidepressivo che per il dolore cronico negli anziani. L’effetto analgesico comprende sia il suo effetto sul dolore neuropatico, come quello secondario alla neuropatia diabetica, sia nella gestione del dolore muscoloscheletrico cronico.
- La fluoxetina è uno dei prototipi di SSRI approvati come farmaco su prescrizione per la depressione. Il trattamento con fluoxetina si è rivelato efficace nel mal di testa di origine muscolo tensiva ma non nel dolore neuropatico diabetico. Tuttavia, è efficace nel migliorare il disturbo somatoforme nei pazienti depressi.
- La fluvoxamina, un altro SSRI, è efficace anche nel mal di testa muscolo tensivo, nel dolore post-ictus e nell’osteoartrite ma non nel dolore cronico del cancro.
- La sertralina, un SSRI, si è dimostrata efficace nel dolore toracico cronico non cardiaco.
- La paroxetina, un altro SSRI, si è dimostrata efficace nel trattamento del dolore associato alla neuropatia diabetica.
- Il trattamento con citalopram SSRI produce un moderato effetto analgesico nel disturbo somatoforme.
- L’escitalopram (metabolita del citalopram), tuttavia, è stato dimostrato utile per una serie di condizioni di dolore cronico, tra cui la neuropatia diabetica, il disturbo somatoforme e il dolore associato alla depressione.
In generale si ritiene che gli antidepressivi triciclici e gli inibitori del reuptake della serotonina-noradrenalina (SNRI) siano più efficaci degli SSRI nel trattamento del dolore cronico/neuropatico.
Antidepressivi Atipici
Tra gli antidepressivi atipici, detti così per il loro particolare meccanismo di azione non riconducibile propriamente alle categorie già descritte, troviamo le categorie dei noradrenergici e degli antidepressivi serotoninergici specifici, gli inibitori del reuptake della norepinefrina-dopamina, e gli inibitori del reuptake e antagonisti della serotonina.
- Nella categoria dei noradrenergici e degli antidepressivi serotoninergici specifici, il farmaco più comunemente utilizzato è la Mirtazapina. È stato dimostrato che la Mirtazapina può aumentare la tolleranza al dolore nelle persone sane. Tuttavia, sono disponibili limitati studi sull’efficacia della Mirtazapina nel trattamento del dolore. In uno studio in “aperto”, è stato mostrato che la Mirtazapina potrebbe alleviare il dolore nei pazienti affetti da cancro.
- Passando agli inibitori del reuptake della norepinefrina-dopamina, il Bupropione è principalmente usato come antidepressivo e aiuto per smettere di fumare. Non sono stati condotti studi sull’uomo riguardanti le sue proprietà analgesiche; tuttavia, uno studio sui topi ha mostrato che ha significativi effetti antiallodinici, ovvero la capacità di ridurre la sensibilità al dolore.
- Infine, tra gli inibitori del reuptake e antagonisti della serotonina, il Trazodone è l’antidepressivo più comunemente utilizzato. Il Trazodone ha dimostrato di essere altrettanto efficace quanto l’amitriptilina nel dolore oncologico ed è efficace nella fibromialgia. Tuttavia, non ha mostrato effetti terapeutici nel dolore lombare cronico e nel dolore orofacciale.
In altre parole, non tutti gli antidepressivi sono ugualmente efficaci nel trattamento di tutte le tipologie di dolore e ulteriori studi sono necessari per capire meglio quando e come questi farmaci possono essere più utili.
Antidepressivi Glutamatergici
Alcuni studi hanno dimostrato il ruolo del glutammato e dei suoi sottotipi di recettori NMDA nell’analgesia e nella terapia antidepressiva. Come antagonista dei recettori NMDA, la ketamina è stata utilizzata per l’anestesia fin dagli anni ’60 e nel 2000 è stata segnalata come in grado di migliorare rapidamente i sintomi depressivi, compresa la depressione refrattaria, entro alcune ore.
È diventata un nuovo tipo di farmaco antidepressivo, la esketamina, che agisce sul sistema glutammatergico già oggi in commercio anche se ad uso esclusivo ospedaliero. Inoltre, gli studi hanno rilevato che la ketamina non solo aumenta il numero di connessioni sinaptiche nell’area prefrontale, ma migliora rapidamente i deficit causati dallo stress cronico.
Inoltre, antagonizzando il recettore glutammatergico NMDA, si è visto che la ketamina accelera il rilascio di glutammato presinaptico, potenziando così l’attività regionale della rete eccitatoria e portando infine a un cambiamento significativo della plasticità sinaptica e della connettività. In questo modo si raggiunge lo scopo dell’analgesia e della terapia antidepressiva.
Tuttavia, anche questi farmaci hanno effetti collaterali quali tra gli altri: vertigini, visione offuscata, mal di testa, nausea o vomito, secchezza delle fauci, scarsa coordinazione e irrequietezza. Pertanto, la sicurezza e l’efficacia degli antagonisti dei recettori NMDA per il trattamento della depressione indotta dal dolore cronico devono essere ulteriormente esplorate.
Terapia non farmacologiche per la Depressione da Dolore Cronico
Ci sono molteplici approcci non farmacologici che possono essere utilizzati per affrontare sia la depressione che il dolore cronico. Questi includono tecniche psicoterapeutiche, fisiche e altre pratiche complementari.
Un approccio psicoterapeutico alla gestione del dolore cronico può essere giustificato poiché il dolore ha componenti cognitive ed emotive.
Ad esempio, la terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato benefici clinici sia per la depressione che per il dolore cronico. Questa psicoterapia utilizza tecniche come l’apprendimento per dosare le attività, il rinforzo delle risposte adattive, la ristrutturazione delle risposte cognitive, l’apprendimento delle abilità di coping e di risoluzione dei problemi e le tecniche di rilassamento.
Programmi di terapia cognitiva computerizzati stanno diventando sempre più disponibili e possono essere considerati per i pazienti anziani che sono abili con il computer e/o hanno un accesso limitato all’assistenza per la salute mentale.
L’acceptance and commitment therapy è un’altra forma di psicoterapia che può essere utilizzata nella depressione e nel dolore cronico. Alcuni studi hanno mostrato che una maggiore accettazione del dolore è associata a segnalazioni di minore intensità del dolore, meno ansia e evitamento legati al dolore, meno depressione, meno disabilità fisica e psicosociale.
Un approccio psicoterapico psicodinamico può essere di solito combinato con trattamenti psicofarmacologici per il trattamento di pazienti anziani con dolore oncologico. Esso ha dimostrato una significativa riduzione della percezione del dolore e della depressione, rispetto al solo trattamento farmacologico.
Le prove crescenti suggeriscono che anche l’agopuntura può essere molto efficace nel trattamento del dolore cronico e della depressione anche nella medicina di base. Di solito, l’agopuntura viene utilizzata come approccio aggiuntivo ed è stato dimostrato che è efficace sia nel ridurre la depressione che il dolore, rispetto al solo counseling o alla sola cura usuale con analgesici.
Per quanto riguarda altri approcci non farmacologici, pur mancando studi di buona qualità, possiamo riportare qui che alcuni rapporti suggeriscono che l’ipnoterapia (tecnica che usa l’ipnosi), l’esercizio fisico e le tecniche di rilassamento potrebbero essere utili per affrontare sia la depressione che il dolore.
Prevenzione del Dolore Cronico
La prevenzione del dolore cronico è essenziale perché è necessario controllare la condizione prima del suo insorgere, il che può aiutare a prevenire le comorbilità che possono insorgere insieme al dolore cronico. Esistono diversi metodi che possono essere utilizzati per prevenire il dolore cronico.
Prevenzione primaria
La prevenzione primaria è un metodo usato per prevenire il dolore cronico; coinvolge la prevenzione del dolore acuto, in cui uno dei processi di prevenzione è l’anestesia preventiva. Nell’anestesia preventiva, la sensibilizzazione periferica o centrale è controllata, ad esempio, attraverso la sensibilizzazione degli stimoli, che può essere effettuato con metodi operativi.
I metodi operativi menzionati si riferiscono a interventi chirurgici o procedure mediche effettuate per trattare o prevenire l’insorgenza di dolore cronico.
- Per esempio, un metodo operativo potrebbe riguardare l’uso di tecniche chirurgiche minimamente invasive per trattare una lesione che sta causando dolore acuto, con l’obiettivo di prevenire la transizione a dolore cronico. Questi possono includere la chirurgia laparoscopica, la chirurgia robotica, o l’uso di dispositivi medici come pompe per il dolore o stimolatori del midollo spinale.
- Un altro tipo di metodo operativo potrebbe essere l’uso di un blocco nervoso per interrompere la trasmissione di segnali di dolore al cervello. Questo potrebbe essere fatto mediante l’iniezione di un anestetico locale o un farmaco anti-infiammatorio intorno al nervo che sta trasmettendo i segnali di dolore.
La scelta del metodo operativo più appropriato dipende dalla natura della lesione o della malattia che sta causando il dolore, così come dalla salute generale del paziente e dalla sua risposta ai trattamenti precedenti. L’obiettivo di queste procedure è di ridurre o eliminare il dolore, migliorare la funzione e la qualità della vita, e prevenire lo sviluppo di dolore cronico.
Prevenzione Secondaria
Un’altra opzione sarebbe attraverso la prevenzione secondaria, dove il dolore acuto è identificato precocemente e trattato in modo aggressivo, prevenendo il dolore cronico. Sebbene la sensibilizzazione periferica sia avvenuta, l’obiettivo è prevenire la sensibilizzazione centrale.
L’analgesia multimodale è un metodo che viene utilizzato, dove analgesici oppioidi e non oppioidi sono combinati e somminati per agire sul percorso del dolore in diverse aree. Questo processo aiuta a migliorare il controllo del dolore e ha effetti additivi o sinergici.
Attività fisica
Un articolo di revisione ha indagato in che misura l’attività fisica potesse prevenire il dolore cronico: è stato concluso che l’attività fisica influisce positivamente sulla prevenzione del dolore cronico. Questo risultato può essere spiegato con il fatto che con l’esercizio, i livelli dell’ormone adrenocorticale, il cortisolo, e della catecolamina sono più alti, diminuendo la sensazione di dolore.
Se la prevenzione del dolore cronico può essere effettuata in modo efficace, anche le condizioni comorbidi che si verificano insieme ad esso, come la depressione, possono essere prevenute.
Future prospettive terapeutiche
Oltre ai farmaci discussi in precedenza, sono stati identificati potenziali bersagli terapeutici per la depressione cronica indotta dal dolore, basati su alterazioni della neuroplasticità comuni al dolore e alla depressione.
Il miglioramento della funzione della dopamina (DA) ad opera di alcuni farmaci dopaminergici come il pramipexolo, può essere una base di partenza per potenziare la risposta al trattamento del disturbo depressivo maggiore (MDD). È stato dimostrato che alcuni farmaci antidepressivi potenziano la trasmissione della DA e studi su modelli animali hanno dimostrato che la DA può alleviare il dolore attraverso la stimolazione mirata del recettore D2. Ciò suggerisce che il recettore D2 potrebbe essere un nuovo bersaglio terapeutico per la depressione cronica indotta dal dolore.
Il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), come detto, è una molecola necessaria per mantenere la comunicazione tra la microglia e i neuroni e rappresenta un collegamento essenziale nella trasmissione del dolore neuropatico.
Come abbiamo visto diversi studi hanno rilevato che il livello di BDNF dei pazienti affetti da depressione è significativamente ridotto e una diminuzione del livello di BDNF può portare a una diminuzione del volume dell’ippocampo e della ricostruzione dendritica, aumentando la suscettibilità alla depressione.
Pertanto, il blocco di questa via potrebbe rappresentare una strategia terapeutica per il trattamento del dolore neuropatico e il BDNF potrebbe diventare un nuovo bersaglio per il trattamento della depressione cronica indotta dal dolore nel prossimo futuro.
Conclusioni
In conclusione, dolore e depressione sono strettamente correlati.
Una delle cause più importanti per cui il dolore cronico può portare alla depressione sembra essere l’effetto cruciale delle comuni modifiche nella neuroinfiammazione e nella neuroplasticità cerebrale.
Il dolore cronico è un’esperienza soggettiva e personale, non una diagnosi specifica. I pazienti con dolore cronico dovrebbero in prima istanza ricevere un trattamento mirato per le patologie mediche sottostanti e dovrebbero poi essere valutati per la presenza di depressione e ansia.
Oltre a rappresentare un trattamento primario per lo stato depressivo, gli antidepressivi si sono rivelati efficaci nel trattamento di molte sindromi di dolore cronico neuropatico ma la complessità eziopatogenetica del dolore cronico richiede una conoscenza approfondita dei meccanismi d’azione di molti agenti farmacologici.
Tuttavia, gli sforzi attuali in questo campo non riescono a spiegare in modo sufficiente ed esplicito la loro connessione. Ulteriori indagini sulle alterazioni della neuroplasticità comuni a dolore e depressione sono giustificate per promuovere l’identificazione di nuovi bersagli farmacologici e aiutare meglio i pazienti dalla depressione cronica indotta dal dolore.
Tuttavia, gli sforzi attuali in questo campo non riescono a spiegare in modo sufficiente ed esplicito la loro connessione. Ulteriori indagini sulle comuni modifiche della neuroplasticità condivise da dolore e depressione sono necessarie per favorire l’identificazione di nuovi bersagli farmacologici e per liberare i pazienti dalla depressione indotta dal dolore cronico
Bibliografia
Zis P, Daskalaki A, Bountouni I, Sykioti P, Varrassi G, Paladini A. Depression and chronic pain in the elderly: links and management challenges. Clin Interv Aging. 2017 Apr 21;12:709-720
Meda R T, Nuguru S P, Rachakonda S, et al. Chronic Pain-Induced Depression: A Review of Prevalence and Management. Cureus 2022 14(8): e28416.
Bonilla-Jaime H, Sánchez-Salcedo JA, Estevez-Cabrera MM, Molina-Jiménez T, Cortes-Altamirano JL, Alfaro-Rodríguez A. Depression and Pain: Use of Antidepressants. Curr Neuropharmacol. 2022;20(2):384-402
Sheng J, Liu S, Wang Y, Cui R, Zhang X. The Link between Depression and Chronic Pain: Neural Mechanisms in the Brain. Neural Plast. 2017;2017:9724371.
Du, Liang; Luo, Shanxia; Liu, Guina; Wang, Hao; Zheng, Lingli; Zhang, Yonggang. The 100 Top-Cited Studies About Pain and Depression. Frontiers. Collection 2020.
Haleem DJ. Targeting Serotonin1A Receptors for Treating Chronic Pain and Depression. Curr Neuropharmacol. 2019;17(12):1098-1108
No comments!
There are no comments yet, but you can be first to comment this article.