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La depressione è una malattia del cervello molto complessa. Contrariamente a quanto si credeva in passato, questa condizione medica è dovuta soltanto in parte allo squilibrio degli elementi chimici presenti nel cervello. Grazie ad un gran numero di ricerche è stato possibile comprendere, infatti, che questa malattia del cervello potrebbe essere causata, ad esempio, da diverse cause e non una sola come:

  • una regolazione dell’umore difettosa a livello cerebrale, 
  • ad una vulnerabilità genetica,
  • nonché ad una successione di eventi stressanti. 

Depressione: una malattia del cervello più complessa che un semplice squilibrio chimico

Le sostanze chimiche giocano un ruolo importante nello sviluppo della depressione. Questa malattia del cervello è, però, dovuta soprattutto alla presenza di un gran numero di elementi chimici presenti sia all’interno che all’esterno delle cellule nervose. Il sistema dinamico che regola l’umore e le percezioni, infatti, è costituito da milioni, se non miliardi, di reazioni chimiche.

Una volta compresa la complessità dei processi alla base della depressione, risulterà ancor più semplice capire perché due persone affette dagli stessi sintomi depressivi potrebbero presentare dei problemi interiori diversi e, di conseguenza, necessitare di due trattamenti completamente differenti.

Negli ultimi anni, il campo della biologia della depressione ha potuto contare su un gran numero di nuove scoperte, tra le quali è possibile enumerare:

  • la connessione tra diverse aree cerebrali e i loro effetti della depressione
  • il modo in cui le sostanze chimiche cerebrali, note come neurotrasmettitori, rendono possibile la comunicazione tra diverse cellule cerebrali
  • l’impatto della genetica e degli eventi quotidiani sui rischi e i sintomi della depressione.

Le conoscenze in materia, però, restano ancora limitate.

Aree cerebrali e umore

Esistono delle aree cerebrali in grado di regolare l’umore: i ricercatori ritengono che le connessioni e la crescita delle cellule nervose, nonché il funzionamento dei circuiti nervosi, abbiano un impatto sulla depressione ancor più importante che quello dei livelli di determinate sostanze chimiche.

Forme sempre più sofisticate di neuroimaging cerebrale hanno permesso di osservare ancor più da vicino il funzionamento del cervello. Risonanze magnetiche funzionali (fMRI), tomografie ad emissione di positroni (PET) e tomografie computerizzate ad emissione di fotoni singoli (SPECT) hanno permesso di individuare le aree cerebrali coinvolte nella regolazione dell’umore e comprendere il modo in cui la malattia della depressione potrebbe agire su diverse funzioni del cervello come, ad esempio, la memoria.

Le aree cerebrali coinvolte nella depressione

Le aree del cervello principalmente coinvolte nella depressione sono l’amigdala, i nuclei della base e l’ippocampo.

  •  Amigdala: appartiene ad un gruppo di strutture situate nella parte profonda del cervello e viene associata ad emozioni quali rabbia, piacere, tristezza, paura ed eccitazione sessuale. Un ricordo carico d’emozione può attivare l’amigdala, per questo motivo la sua attività risulta maggiore nelle persone tristi o clinicamente depresse. Questo aumento si protrae dopo la guarigione e potrebbe causare un ingrandimento dell’amigdala.
  • Nuclei della base: benché connessi ad un gruppo di strutture situate nella parte profonda del cervello possono interagire con delle strutture superficiali. Facilitano il movimento e potrebbero essere legate a funzioni quali memoria, pensiero ed elaborazione delle emozioni. Le persone depresse mostrano una riduzione volumetrica dei nuclei della base.
  •  Ippocampo: gioca un ruolo chiave nell’elaborazione delle memorie a lungo termine. Con l’amigdala porta a registrare la paura per mettere in guardia contro i pericoli futuri. Alcuni pazienti depressi presentano una riduzione delle dimensioni dell’ippocampo. Secondo diverse ricerche, un’esposizione duratura agli ormoni dello stress può compromettere la crescita neuronale all’interno dell’ippocampo.

Depressione e neurogenesi

Questa scoperta è interessante da un punto di vista scientifico: per anni i ricercatori si sono interrogati sul motivo per cui gli antidepressivi necessitino di varie settimane per portare dei benefici. Nonostante l’impossibilità di questi farmaci di migliorare l’umore in modo istantaneo, infatti, l’assunzione di antidepressivi provoca comunque un aumento immediato della concentrazione di neurotrasmettitori nel cervello. 

Alla luce delle nuove scoperte sull’ippocampo e l’azione dello stress, la soluzione a questo problema potrebbe essere semplice.

L’umore può migliorare soltanto grazie alla crescita nervosa e alla formazione di nuove connessioni nervose, un processo che potrebbe impiegare diverse settimane.

Secondo alcuni studi eseguiti su modelli animali, infatti, è stato possibile notare come gli antidepressivi possano aumentare in modo significativo la crescita delle cellule nervose dell’ippocampo nonché migliorare la loro ramificazione, detta arborificazione dendritica.

Terapie future per la malattia della depressione

La vera efficacia degli antidepressivi, quindi, potrebbe trovarsi nella neurogenesi, ovvero la formazione dei nuovi neuroni, ma anche nel rafforzamento delle connessioni a livello delle cellule nervose, nonché nel miglioramento degli scambi di informazioni tra circuiti nervosi.

Di conseguenza, si potrebbe finalmente cercare di creare dei farmaci antidepressivi in grado di promuovere la neurogenesi. Questi farmaci risulterebbero, quindi, ancor più efficaci sul cervello dal momento che il loro effetto sulla malattia della depressione sarebbe quasi immediato.

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