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I vantaggi del neuroimaging in psichiatria

Le tecniche di imaging cerebrale (chiamato anche brain imaging o neuroimaging) sono un settore di ricerca scientifica che ha mostrato un notevole slancio negli ultimi tre decenni, con un ritmo serrato di nuove tecnologie e aperture a nuovi campi di indagine. Anche l’interesse per le tecniche di neuroimaging in psichiatria è andato crescendo e ha messo in luce l’utilità di questi nuovi strumenti: dalla possibilità di osservare e quindi trattare subito un’eventuale lesione cerebrale, fino a potenzialità più ampie.

A trarne vantaggio è stato in particolare l’ambito della psichiatria biologica, un settore che si occupa dell’indagine di anomalie che potrebbero avere un valore eziologico o patogenetico soprattutto nel caso di sindromi psicorganiche, ovvero di disturbi mentali legati a un malfunzionamento cerebrale diretto o indiretto.

Il neuroimaging in psichiatria costituisce dunque un aiuto nella comprensione dei meccanismi neurobiologici e delle anomalie dei network funzionali di disturbi come schizofrenia, disturbi bipolare, disturbi d’ansia, il disturbo ossessivo compulsivo o DOC, i disturbi del comportamento alimentare, la depressione maggiore e, nel caso di tecniche funzionali, anche del ADHD (deficit di attenzione/iperattività). Risulta inoltre utile nel caso della diagnosi differenziale anche per escludere l’ipotesi, di fronte a sintomi psichici, di una disfunzione organica che imita un disturbo mentale, come accade per la demenza multinfartuale, le malattie degenerative, i disordini metabolici, le infezioni e infiammazioni del SNC, ma soprattutto nel caso dei tumori cerebrali oltre che ai traumi cerebrali.

Non bisogna però dimenticare che il neuroimaging in psichiatria non è uno strumento privo di limiti il cui utilizzo va valutato in base al singolo caso e soprattutto, a scanso di equivoci o fraintendimenti in chi legge, che la diagnosi in psichiatria ad oggi è squisitamente clinica, ovvero basata sulla raccolta dell’anamnesi patologica, di segni e sintomi attraverso l’intervista psichiatrica del paziente (o dei suoi familiari) e dell’esame psichico.

Le tecniche più utili di neuroimaging in psichiatria

Il neuroimaging si divide in neuroimaging morfologico, cioè orientato alla valutazione della struttura cerebrale, e in neuroimaging funzionale, ovvero in grado di monitorare l’attività cerebrale. Le tecniche principali del primo tipo sono la Tomografia Computerizzata (TC) e l’Imaging a Risonanza Magnetica (MRI o RMN), mentre tra le tecniche funzionali troviamo la PET (Positron Emission Tomography), la SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography), la fMRI (Functional Magnetic Resonance Imaging), la Spettroscopia con tecnica di Risonanza Magnetica (MRS) e la Magnetoencefalografia (MEG)

Tomografia Computerizzata (TC o TAC)

La Tomografia Computerizzata (TAC o CAT in inglese) è una tecnica di neuroimaging che, tramite l’utilizzo di scansioni a raggi X, permette di ottenere immagini di sezioni anatomiche del cervello. Questa tecnica può prevedere l’utilizzo di agenti di contrasto per identificare danni alla barriera emato-encefalica, come nel caso di tumori, infiammazioni, ascessi o perdite. L’utilizzo di questi mezzi di contrasto va però valutato con cura dal momento che fino al 5% dei pazienti può sviluppare reazioni idiosincrasiche ad essi con sintomi come ipotensione, nausea, rossori, orticaria e anafilassi.

La TC può essere un’utile tecnica di neuroimaging in psichiatria, soprattutto nei casi in cui la Risonanza Magnetica dovesse essere controindicata, come accade per pazienti claustrofobici, ansiosi o in stato di gravidanza. Nonostante non possa essere d’aiuto nella diagnosi di disturbi primariamente psichiatrici, alcuni studi hanno notato la presenza di alcuni cambiamenti o anomalie strutturali identificabili con la Tomografia Computerizzata in pazienti psichiatrici: tra questi rientrano l’incremento del VBR (rapporto ventricolo-cervello) nei pazienti schizofrenici o ventricoli dilatati nei casi di disturbi alimentari, alcolismo, disturbo bipolare, demenza e depressione.

Imaging a Risonanza Magnetica (RMN o MRI)

L’Imaging a Risonanza Magnetica (MRI o RMN) fornisce immagini dettagliate dei piani assiali, sagittali e coronali del cervello e sfrutta l’interazione tra protoni e un campo magnetico esterno.  A seconda dei parametri temporali impostati e dalla frequenza di energia rilasciata dai protoni (fase di “rilassamento”) si possono ricavare due tipi di immagini: dettagli anatomici della materia bianca e grigia o aree in condizioni patologiche.

L’utilità di questa tecnica di neuroimaging in psichiatria consiste nella possibilità di identificare lesioni cerebrali traumatiche in pazienti con sintomi psichiatrici, come psicosi o delirio, disturbi gravi dell’umore o improvvisi cambi di personalità. Inoltre, la MRI risulta più sensibile nel rilevare i cambiamenti atrofici propri della demenza, dell’edema causato da infiammazione e delle lesioni della materia bianca e, rispetto alla TC, permette di identificare ictus acuti con maggiore anticipo.

Imaging a Risonanza Magnetica funzionale (fMRI)

L’Imaging a Risonanza Magnetica funzionale è al momento utilizzato soprattutto come strumento di ricerca e si basa sulle variazioni nel flusso sanguigno cerebrale e sull’assunto dell’esistenza di una correlazione tra queste variazioni e le zone di attività cerebrale.

Per quanto riguarda le potenzialità di questa tecnica di neuroimaging in psichiatria, sono stati osservati, in ambito di ricerca, alcuni pattern ricorrenti di attivazione cerebrale in disturbi come demenza, depressione maggiore, schizofrenia e disturbo ossessivo-compulsivo. Sebbene non si tratti ancora di un vero e proprio strumento diagnostico o clinico, si tratta di un utile aiuto al miglioramento della nostra conoscenza dei disturbi mentali e degli effetti dei farmaci psicotropi.

PET e SPECT

La PET (Positrone Emission Tomography) utilizza marcatori radioattivi per rendere visibile il funzionamento cerebrale corticale e subcorticale. Tra i marcatori utilizzati troviamo il fluorodesossiglucosio (18F), l’ossigeno-15 e radioligandi specifici in grado di dare indicazioni sull’attività dei recettori dei neurotrasmettitori. La PET può essere utilizzata solo nel caso in cui sia presente un ciclotrone in grado di preparare i marcatori di emissioni.

La SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography) permette, tramite una gamma camera, di misurare attivazioni cerebrali locali e attività farmacologiche. Gli radionuclidi più utilizzati sono più comunemente lo xenon-133 e il tecnezio Tc-99m, esametil propilene (un misuratore del flusso sanguigno cerebrale), oltre a radioligandi specifici.

Per quanto riguarda l’utilità di queste tecniche di neuroimaging in psichiatria, entrambi gli strumenti sono utilizzati essenzialmente in ambito di ricerca per lo studio di patofisiologie legate ai farmaci e, in ambito diagnostico, PET e SPECT possono essere utilizzate insieme all’EEG per determinare i foci epilettici. Studi hanno inoltre dimostrato che, in casi di Alzheimer e demenza vascolare, questi due strumenti sono in grado di evidenziare delle anomalie nei pattern cerebrali, in particolare per quanto riguarda il metabolismo corticale e il funzionamento dei recettori. Anomalie funzionali che anticiperebbero i cambiamenti atrofici identificabili con la MRI.

MagnetoEncefalografia (MEG)

La Magnetoencefalografia è una tecnica di neuroimaging funzionale non invasiva che permette di analizzare l’attività cerebrale tramite la misurazione dei deboli campi magnetici prodotti dallo spostamento ionico positivo causato dalle cellule piramidali della corteccia cerebrale.

Oltre ad avere il vantaggio di non essere invasiva e di non esporre il paziente a radiazioni, la MEG può essere un utile strumento di neuroimaging in psichiatria, grazie alla sua elevata risoluzione spaziale che permette, ad esempio, se combinata con i dati ottenuti dalla MRI, di evidenziare la presenza di attività epilettiformi. Inoltre permette di delineare una mappa di specifiche zone cerebrali da evitare durante un intervento neurochirurgico, quali le aree somestesiche o uditive.

Come le altre tecniche di neuroimaging, anche la MEG viene sfruttata soprattutto in ambito di ricerca, in particolare per quanto riguarda fenomeni come la riorganizzazione delle mappe corticali, la lateralizzazione cerebrale e le anomalie nella memoria uditiva o sensoriale in pazienti psichiatrici.

Spettroscopia con tecnica di Risonanza Magnetica (MRS)

Tra le tecniche di imaging cerebrale si segnala anche la Spettroscopia con tecnica di Risonanza Magnetica (MRS), la quale permette una misurazione in vivo di determinati marcatori del metabolismo cerebrale. Ad esempio, con la MRS a protoni è possibile misurare concentrazioni locali di N-acetil-aspartato (un presunto indicatore di integrità neuronale), di colina (indicatore di turnover della membrana), creatina (indicatore di metabolismo energetico intercellulare), glutammina, glutammato e acido gamma-amminobutirrico.

Rientra anche questa tra le tecniche di neuroimaging potenzialmente utili in psichiatria dal momento che è stata osservata una riduzione localizzata di N-acetil-aspartato in diversi disturbi neuropsichiatrici, inclusi schizofrenia, epilessia del lobo temporale, Alzheimer, demenza da AIDS  e malattia di Huntington.

Neuroimaging in psichiatria: strumenti a confronto

Oltre alla differenza tra imaging cerebrale morfologico e funzionale, i diversi strumenti di neuroimaging presentano delle specifiche caratteristiche tecniche che permettono di valutarne l’utilizzo a seconda dei casi e dei disturbi.

Tomografia Computerizzata o Risonanza Magnetica?

Rispetto alla TC, i vantaggi della Risonanza Magnetica o MRI sono soprattutto legati alla sua maggiore risoluzione e, dunque alla possibilità di osservare strutture profonde come il cervelletto e il tronco encefalico. La MRI è infatti in grado di identificare con più precisione lesioni della materia bianca (come ad esempio sclerosi multiple, vasculiti e leucoencefaliti) e permette di vedere anche la fossa posteriore, ma, come già accennato, potrebbe essere meno tollerata da alcuni pazienti a causa di spazi ristretti, forte rumore e durata dell’analisi.

Oltre che per la risoluzione, Risonanza Magnetica e Tomografia Computerizzata differiscono anche per tipo di scannerizzazione: mentre i raggi X della TC permettono la visione unicamente del piano assiale, la MRI rende visibili piani assiali, sagittali e coronali.

La Tomografia Computerizzata ha d’altra parte il vantaggio di un costo inferiore e di un tempo di esposizione minore, il che la rendono uno strumento preferenziale in casi di emergenza come sospette emorragie cerebrali o fratture ossee. La Risonanza Magnetica, inoltre, potrebbe essere inutilizzabile in casi particolari, come in presenza di pazienti claustrofobici o di parti metalliche impiantate nel corpo del paziente come ad esempio un pacemaker.

Quale tecnica di neuroimaging funzionale?

Rispetto alla PET, la SPECT è più diffusa, meno complessa e più economica, ma la PET è caratterizzata da una maggiore risoluzione sia spaziale che temporale. Va ricordato, inoltre, che entrambe le tecniche forniscono visioni limitate delle strutture anatomiche.

Nel mettere a confronto le tre principali tecniche di neuroimaging funzionale utilizzate in psichiatria, ovvero PET, SPECT e fMRI, occorre sottolineare che la fMRI presenta la migliore risoluzione temporale e spaziale, ma anche il maggiore tempo di esposizione necessario. La PET, nonostante permetta l’analisi di marcatori potenzialmente utili, presenta il grosso limite di un costo, ad oggi, ancora proibitivo per la maggior parte delle strutture.

Come e quando utilizzare le tecniche di neuroimaging in psichiatria

Ci sono casi in cui, all’interno delle analisi di routine volte ad avere un quadro più dettagliato della situazione fisica del paziente, è opportuno inserire anche tecniche di neuroimaging.

Tra queste situazioni rientrano:

  • Psicosi di nuova insorgenza.
  • Delirio di nuova insorgenza.
  • Demenza di nuova insorgenza.
  • Insorgenza di disturbi psichiatrici in pazienti di più di cinquant’anni.
  • Anomalie sul piano neurologico.
  • Presenza di traumi cranici nella storia del paziente.
  • Inizio della terapia elettroconvulsivante.

Mentre in queste condizioni le tecniche di neuroimaging sono soprattutto strumenti adatti ad un’indagine preliminare, volta ad identificare eventuali anomalie biologiche, esistono anche specifiche patologie e disturbi psichiatrici per i quali il brain imaging può essere di particolare aiuto sia nell’identificare possibili cause dell’insorgenza della malattia, sia nel mettere in evidenza problematiche correlate. In generale, nell’evoluzione della disciplina, l’utilizzo di questi strumenti si è dimostrato sempre più necessario per meglio comprendere la natura di alcuni disturbi e le potenzialità dei trattamenti.

Schizofrenia

L’utilizzo delle tecniche di neuroimaging in psichiatria ha permesso di scoprire una serie di modificazioni nella struttura del cervello legate alla presenza di schizofrenia e disturbi paranoidi. La Tomografia Computerizzata e la Risonanza Magnetica hanno messo in luce la correlazione tra la dilatazione del corno temporale dei ventricoli laterali – in particolare il sinistro – e la prevalenza di sintomi negativi, così come la corrispondenza tra una riduzione del volume dell’amigdala, del giro temporale superiore – soprattutto sinistro – e dell’ippocampo e la presenza di disturbi del pensiero e deficit della memoria verbale. In particolare, una riduzione del volume del giro retto del lobo frontale sembra essere legata alla presenza di disadattamento sociale sia prima che dopo l’insorgenza del disturbo. Il DTI (Imaging con Tensore di Diffusione, tecnica di risonanza magnetica che prevede l’uso di uno strumento che permette di ottenere immagini anche tridimensionali), ha infine contribuito ad evidenziare anche una riduzione sia globale che focale della sostanza bianca.

TAC / RMN e Schizofrenia

Alcune di queste anomalie possono evolvere in correlazione allo sviluppo del disturbo. Ad esempio, è stata notato un peggioramento nel tempo della dilatazione progressiva dei ventricoli laterali e del III ventricolo e della riduzione del complesso amigdala-ippocampale. Anche la riduzione di sostanza grigia sembra essere progressiva e legata all’età del paziente schizofrenico, oltre che correlata ad una peggiore severità dei sintomi: dal lobo parietale, la diminuzione di volume passa ad interessare anche il lobo frontale superiore e dorso-laterale e, infine, la regione latero-temporale.

La non invasività delle tecniche di neuroimaging, ha permesso anche di indagare l’eventuale influenza che ha la genetica nell’insorgenza della schizofrenia. La presenza di casi in cui, ad esempio, nei parenti dei pazienti schizofrenici il complesso amigdala-ippocampale presenta un volume superiore al normale, ha fatto sorgere l’ipotesi che un tale incremento possa essere dovuto ad un fenomeno compensatorio in questi soggetti potenzialmente a rischio genetico di schizofrenia. Così come il fatto che solo nei pazienti schizofrenici, e non nei loro parenti, oltre ad una riduzione di questo complesso si assista anche ad una riduzione delle strutture corticali, ha permesso di ipotizzare che, mentre la diminuzione del volume di amigdala e ippocampo può essere associata al rischio di schizofrenia, la riduzione dei lobi frontali e temporali è una caratteristica dei casi manifesti. 

fMRI e Schizofrenia

Per quanto riguarda l’apporto delle tecniche di imaging funzionale, studi funzionali recenti hanno messo in evidenza una significativa riduzione della connettività globale rispetto ai gruppi di controllo. L’utilizzo di queste tecniche ha permesso inoltre di indagare i pattern di attivazione cerebrale legati a sintomi come i disturbi del pensiero, le allucinazioni uditive, la memoria di lavoro e i comportamenti sociali. Da questi studi sono emerse le seguenti correlazioni:

  • Alle allucinazioni uditive corrisponde un’aumentata attività della corteccia uditiva primaria e del giro temporale mediale.
  • Le allucinazioni somatosensoriali sono associate ad attivazione della corteccia somatosensoriale primaria e della corteccia parietale posteriore.
  • I fenomeni allucinatori, in generale, sono caratterizzati da una attivazione di aree sensoriali associative che, in condizioni normali, vengono attivate solo successivamente, nel momento dell’elaborazione dello stimolo sensoriale.
  • I disturbi cognitivi sono associati non alla ridotta attivazione di una singola area, ma a malfunzionamenti delle connessioni neuronali tra le aree del dorso-laterale, delle regioni ippocampali, del talamo, dei gangli della base e della corteccia parietale.
  • Ad una inibizione ridotta viene associata una riduzione dell’attività dei circuiti inibitori.
  • Deficit o alterazioni dell’espressione verbale si presentano in correlazione ad una ridotta attività delle aree del linguaggio dell’emisfero dominante e a un indice di lateralizzazione tanto più basso quanto più sono gravi questi sintomi.

PET / SPECT e Schizofrenia

Infine, l’utilizzo di PET e SPECT ha permesso di mettere in relazione la schizofrenia con i sistemi dopaminergici e di valutare l’efficacia di farmaci antipsicotici. In particolare, sono emerse delle correlazioni relative alla dopamina: al disturbo viene associato un aumento della sintesi presinaptica striatale della dopamina e un aumento del suo rilascio dopo stimolo con anfetamine. La comprensione di queste anomalie ha permesso anche di capire la ragione di anomalie morfologiche descritte precedentemente e scoperte grazie agli studi morfologici: l’alterazione della stimolazione dei recettori NMDA, ad esempio, e il conseguente incremento del glutammato, è potenzialmente connessa alla riduzione del volume della sostanza grigia.

Disturbi dell’Umore (Depressione e Disturbo Bipolare)

Il disturbo bipolare e, in generale, i disturbi dell’umore hanno sempre posto problemi non indifferenti nella loro diagnosi, non solo per l’estrema varietà della sintomatologia, ma anche per la difficoltà nel distinguerli da altri disturbi, come le demenze e la depressione post-stroke. L’utilizzo del neuroimaging in psichiatria si è dimostrato utile in questo senso: sia per quanto riguarda la diagnosi differenziale, sia per evidenziare anomalie morfologiche che possono essere causa o conseguenza dei disturbi dell’umore. Tecniche di neuroimaging morfologico hanno evidenziato, ad esempio, come i danni a livello del lobo anteriore frontale sinistro e del nucleo caudato sinistro, in pazienti colpiti da stroke o da tumori cerebrali, possano essere correlati a sintomi depressivi.

RMN e Depressione

L’utilizzo di queste tecniche su pazienti affetti da depressione maggiore, in particolare, ha permesso un serio avanzamento nella nostra comprensione del disturbo. Grazie a studi con la Risonanza Magnetica è stata notata una riduzione volumetrica dell’ippocampo che sembra essere legata a fattori come la severità dei sintomi, la cronicità del disturbo e l’età e la risposta al trattamento del paziente. Mentre le funzioni affettive sono risultate correlate ad una riduzione volumetrica dell’amigdala e dei lobi frontali. Simili alterazioni di volume dell’amigdala e dell’ippocampo, oltre che della corteccia prefrontale e del verme del cervelletto, sono state evidenziate anche nei pazienti bipolari e potrebbero essere associate ai disturbi nella regolazione del tono dell’umore e a deficit di memoria.

RMN e Disturbo Bipolare

Tra le diverse tecniche di imaging usate in psichiatria, sono soprattutto quelle funzionali ad essersi rivelate di particolare aiuto nella diagnosi differenziale del disturbo bipolare, permettendo, ad esempio, di notare come il tono dell’umore e l’affettività siano regolate da sistemi funzionali fronto-sottocorticali che coinvolgono la corteccia prefrontale, il giro cingolato anteriore, l’amigdala, l’ippocampo, i gangli della base e il cervelletto. Alcune ricerche hanno permesso di notatare una correlazione diretta tra le alterazioni evidenziate dalle tecniche di neuroimaging funzionale e il tono dell’umore: in pazienti depressi il flusso cerebrale e l’attività metabolica nella corteccia prefrontale e nel sistema limbico risultano ridotti; nella fase maniacale, invece, è stata osservata una prevalenza della corteccia basale e dorso ventrale temporale destra rispetto alla porzione dorsale.

L’utilizzo della fMRI, in particolare, ha evidenziato anomalie nell’attivazione cerebrale nei pazienti depressi o maniacali, quali ad esempio:

  • Un’attivazione maggiore delle strutture sottocorticali del sistema limbico nei pazienti depressi rispetto alle strutture corticali (più attive nei soggetti sani).
  • Ridotti meccanismi inibitori dell’attività dell’emisfero destro nei pazienti depressi e di entrambi gli emisferi nei pazienti maniacali.
  • Una correlazione tra la gravità della depressione e l‘attività a livello del cingolo (che torna normale nei pazienti che rispondono positivamente alle cure).
  • Una riduzione dell’attivazione del talamo nei soggetti depressi durante la fase acuta di remissione.
  • Un accoppiamento eccessivo, nei pazienti depressi, dell’attività del talamo mediale con la porzione anteriore del giro del cingolo rispetto a quella dorsale, che potrebbe essere correlata ad un aumentata risposta  a connotazione “affettiva” rispetto a quella “cognitiva”

Disturbi d’Ansia

L’apporto delle tecniche di imaging usate in psichiatria sullo studio dei disturbi d’ansia è stato limitato dal fatto che la Risonanza Magnetica difficilmente è indicata per i pazienti affetti da questo tipo di patologia, a causa degli spazi ristretti di cui necessita e dei lunghi tempi di esposizione.

Attacchi di Panico

L’utilizzo degli altri strumenti di brain imaging ha, in ogni caso, permesso un approfondimento di questi disturbi e delle loro cause in particolare. Si è così scoperto che gli attacchi di panico sono causati da anomalie dell’attività cerebrale di tipo simil-ictale, riconducibili essenzialmente a due tipi:

  • Disfunzioni esecutive che coinvolgono la corteccia prefrontale dorsolaterale, il nucleo caudato, il talamo e lo striato.
  • Disfunzioni del controllo modulatorio che riguardano la corteccia prefrontale e orbito-frontale e il giro del cingolo.

PTSD o Disturbo Post-Traumatico da Stress

Infine, analisi morfologiche hanno messo in luce una riduzione del volume dell’ippocampo nei soggetti affetti da disturbo post-traumatico da stress. La causa di questa riduzione si ipotizza possa essere la neurotossicità dovuta alla ipercortisolemia tipica degli stati stress-correlati.

ADHD o Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività

Tra i maggiori contributi dell’utilizzo di tecniche di neuroimaging in psichiatria troviamo quelli dati alla comprensione del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, conosciuto anche con il suo acronimo inglese ADHD. Indagini con strumenti sia morfologici che funzionali hanno permesso, innanzitutto, di confermare l’ipotesi di una base biologica del disturbo e di identificare come centro delle disfunzioni un’alterazione degli stimoli ambientali e della capacità di concentrazione da parte della corteccia prefrontale e dei nuclei della base.

In particolare, le tecniche di neuroimaging morfologico hanno permesso di notare una perdita della normale asimmetria del nucleo caudato, una riduzione del volume del globo pallido di destra, della regione frontale anteriore e del cervelletto e una riduzione di volume della regione postero-inferiore del verme cerebellare. Quelle di tipo funzionale, invece, hanno messo in luce una ridotta attività metabolica nella zona sensorimotoria di sinistra in bambini con ADHD e nella corteccia frontale superiore e premotoria negli adulti, oltre ad anomalie nell’attivazione dello striato e della corteccia frontale. Studi recenti hanno anche evidenziato una connettività enormemente aumentata con la corteccia cingolata anteriore da parte della corteccia cingolata anteriore controlaterale, del talamo, della corteccia insulare, del cervello e del ponte.

Anche per quanto riguarda l’efficacia dei trattamenti, che per questo disturbo consistono soprattutto nella somministrazione di psicostimolanti della famiglia delle anfetamine, così da andare a modificare la modulazione del sistema dopaminergico, gli studi con brain imaging sono stati di notevole aiuto. Studi su pazienti adulti, ad esempio, hanno dimostrato che una terapia a base di metilfenidato porta a dei livelli di attivazione della corteccia cingolata anteriore pari a quelli dei soggetti sani e che è possibile ottenere risultati simili nei bambini a seguito della somministrazione di stimolanti.

Disturbi del Sonno e Insonnia

A differenza di altri disturbi, per quanto riguarda i disturbi del sonno, le tecniche di imaging cerebrale non possono essere considerate uno strumento diagnostico particolarmente indicato. Tuttavia, il neuroimaging morfologico può essere utilizzato per escludere l’influenza di altre patologie che possono provocare insonnia, mentre quello funzionale ha permesso di analizzare i pattern di attivazione legati alle diverse fasi del sonno e alle sue disfunzioni

.Grazie all’utilizzo della PET, in particolare, è stato osservato che il sonno NREM (NonRapid Eye Movement) è contraddistinto da una deattivazione delle regioni centroencefaliche (troncoencefalo, talamo, nuclei della base) e delle cortecce associative (prefrontali, temporale superiore e parietale inferiore). La stessa deattivazione si manifesta nei pazienti che subiscono una deprivazione del sonno, ma in misura minore.

Il sonno REM (Rapid Eye Movement), al contrario, è risultato associato a una riattivazione di tutte le regioni sopra elencate, ad esclusione delle aree associative. L’utilizzo di questa tecnica ha inoltre permesso di capire che la facilità del risveglio che caratterizza la fase 2 del sonno potrebbe essere dovuta al fatto che la sostanza reticolare attivatrice rimane attiva durante questa fase.

Autismo e Spettro Autistico

Nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico, l’utilizzo di tecniche di neuroimaging ha dato luogo ad una notevole spinta nell’osservazione sia delle anomalie morfologiche cerebrali dei soggetti, sia delle disfunzioni nei pattern di attivazione cerebrali tipicamente connesse ad alcuni dei sintomi di questi disturbi, come una riduzione degli interessi, una mancata tendenza alla socializzazione ed eventuali ritardi mentali.

Per quanto riguarda gli studi morfologici, la Risonanza Magnetica ha messo in luce le seguenti anomalie:

  • Ampliamento complessivo dei ventricoli laterali e del IV ventricolo.
  • Una riduzione del troncoencefalo e degli emisferi cerebellari.
  • Una minore densità delle fibre nervose all’interno del corpo calloso, correlata a una riduzione di spessore dello stesso, un dato che sembra connesso alla ridotta connettività dei network funzionali multisistemici.

L’utilizzo di tecniche funzionali, specialmente della fMRI, ha invece messo in luce come i sintomi dell’autismo siano correlati, più che a una disfunzione nell’attivazione di una determinata area, a una ridotta interconnessione e sincronizzazione di diverse zone cerebrali, come quelle legate al linguaggio, alla memoria operativa e alle funzioni esecutive e visive. 

In particolare, nei pazienti autistici risulta ridotta la connessione tra la corteccia antero-mediale, e la corteccia posteriore, entrambe zone coinvolte nei processi autoreferenziali. La connessione risulta invece aumentata tra la corteccia cingolata anteriore e striato – un dato associato al disinteresse per la socializzazione – e tra giro frontale medio e caudato, probabilmente correlato alla riduzione degli interessi e ai comportamenti ripetitivi. Anomalie di connessione sono state rilevate anche tra giro paracingolato e nucleo accumbens, e tra la corteccia orbito-frontale destra e il nucleo accumbens, entrambi network riguardanti le capacità di socializzazione e comunicazione.

L’utilizzo della PET, infine, ha messo in luce un’anomalia del giro retto anteriore che risulta maggiormente rappresentato a sinistra piuttosto che a destra, mentre nei soggetti sani avviene il contrario. È stato rilevato anche che in alcuni pazienti autistici il metabolismo glucidico risulta aumentato a livello della corteccia calcarina destra e ridotto nel putamen posteriore sinistro e nel talamo mediale sinistro. La SPECT, invece, ha permesso di evidenziare una riduzione di flusso ematico nell’emisfero sinistro.

DCA o Disturbi della Condotta Alimentare

I soggetti che presentano disturbi della condotta alimentare, come anoressia e bulimia, mostrano delle specifiche anomalie a livello della morfologia cerebrale identificabili con le tecniche di neuroimaging. Con un’incidenza tra il 26% e il 75% per l’anoressia nervosa e tra lo 0% e il 27% per la bulimia nervosa, si assiste infatti ad una particolare forma di atrofia cerebrale chiamata “pseudoatrofia”, perché caratterizzata dalla reversibilità del fenomeno in seguito al ritorno ad un normale stato nutrizionale.

RMN e Anoressia Nervosa

Per quanto riguarda invece l’imaging funzionale, al momento si tratta di tecniche ancora poco utilizzate in questo campo, ma che hanno comunque iniziato a portare interessanti risultati. Grazie all’utilizzo della fMRI ad esempio, è stata messa in evidenza una correlazione tra l’assunzione di cibi altamente calorici e un aumento di flusso sanguigno nel circuito associato alle reazioni di paura (amigdala, giro fusiforme destro, regioni tronco-encefaliche) nelle pazienti affette da anoressia nervosa.

SPECT / PET e Anoressia Nervosa

Studi tramite la SPECT hanno dimostrato una anomalia riguardante il funzionamento della corteccia del giro cingolato anteriore che potrebbe contribuire a spiegare le disfunzioni percettive ed emozionali che rientrano tipicamente tra i sintomi dell’anoressia nervosa. L’uso della PET ha invece permesso di osservare un incremento del metabolismo nel nucleo caudato: una zona costituita principalmente da neuroni dopaminergici, dunque connessi all’attività motoria, che potrebbe verosimilmente essere una conseguenza del comportamento iperattivo tenuto dai pazienti affetti da anoressia nervosa. Infine, studi basati su farmaci serotoninergici marcati, hanno messo in luce una riduzione della trasmissione serotoninergica in corrispondenza della corteccia  frontale sinistra e della corteccia parietale bilateralmente.

SPECT / PET e Bulimia Nervosa

La modulazione del flusso ematico regionale è stata misurata anche nei pazienti bulimici e confrontata con i risultati dei pazienti affetti da anoressia e dei soggetti sani. Da queste indagini è risultato che alla bulimia nervosa è associato un incremento del flusso nella regione frontale inferiore destra e temporale sinistra prima dell’assunzione di cibo, mentre successivamente all’assunzione è stata notata una riduzione dello stesso nella regione temporale sinistra. Questi risultati hanno portato ad ipotizzare che uno dei fenomeni alla base della bulimia nervosa sia l’iperattività della regione temporale sinistra.

Alcolismo e Sindrome di Korsakoff

L’utilizzo delle tecniche di neuroimaging in psichiatria ha permesso anche di dare nuovo vigore alle ipotesi, ormai affermate, riguardanti le conseguenze gravi e dirette dell’assunzione dell’etanolo a danno del sistema nervoso centrale.

Altri studi svolti in anni passati avevano già dimostrato che tra i danni dell’alcolismo e della dipendenza da alcol rientravano anche una precoce atrofia cerebrale (in particolare nei settori fronto-temporali), alterazioni di segnale RM a livello del corpo calloso, dell’ippocampo o del tronco dell’encefalo, e alterazioni di segnale a livello del mesencefalo in corrispondenza della sostanza grigia periacqueduttale, a livello del talamo e dell’ipotalamo e, nella Sindrome di Korsakoff, a livello dei corpi mammillari.

L’utilizzo della RMN ha permesso di notare anche un’alterazione netta della sostanza bianca, mentre studi tramite PET e SPECT hanno messo in luce anche modifiche metaboliche nelle aree cerebrali associative e in quelle connesse al controllo della memoria spaziale.

Demenze e Morbo di Alzheimer

Uno dei principali problemi legati allo studio e alla cura delle demenze e di patologie come l’Alzheimer è l’impossibilità di diagnosticare queste condizioni con assoluta certezza e di distinguerle da cause esterne, così come da un normale processo fisiologico di invecchiamento. Anche le tecniche di imaging, in questo caso, hanno un apporto ridotto e vengono utilizzate essenzialmente per escludere altre cause di demenza. La Tomografia Computerizzata, ad esempio, è in grado di mostrare atrofie cerebrali che segnalano la perdita di tessuto nervoso e che sono rappresentate dalla dilatazione dei solchi corticali, delle scissure e delle cisterne nei processi degenerativi corticali e dalle dilatazione dei ventricoli cerebrali nei processi degenerativi sottocorticali.

L’utilizzo della Risonanza Magnetica si è invece rivelato più utile, sia per comprendere maggiormente i processi di invecchiamento fisiologico, sia per quanto riguarda la diagnosi differenziale della demenza da causa vascolare, delle neoplasie e delle altre cause organiche che possono manifestarsi con sintomi simili. Entrando più nel dettaglio, l’utilizzo della RM permette due tipi di analisi delle atrofie cerebrali: analisi visive e formali. Le analisi visive permettono di distinguere tra atrofie lievi, moderate e severe; il metodo formale permette, invece, di concentrarsi sulle singole aree e utilizza misurazioni sia lineari che volumetriche. Nell’ambito dello studio dell’Alzheimer, questo tipo di analisi volumetriche hanno permesso di evidenziare una riduzione dell’ippocampo del 20-25% nei pazienti malati.

Pur non potendo basare una diagnosi differenziale unicamente sui risultati della Risonanza Magnetica, la sua integrazione con altri strumenti di imaging ha però contribuito a mettere in luce ulteriori anomalie tipiche del morbo di Alzheimer. Gli studi di perfusione con mezzo di contrasto durante una RMN, ad esempio, hanno permesso di dimostrare che nelle fasi iniziali dell’Alzheimer si riscontra una ipoperfusione significativa della corteccia temporo-parietale rispetto a un gruppo di controllo. Studi funzionali tramite fMRI hanno invece mostrato un’anomala attivazione dei circuiti ippocampali e dei lobi temporali mediali, e l’integrazione della PET ha evidenziato anomalie di attivazione anche negli stimoli visivi a livello della scissura calcarina e nelle aree del linguaggio. Infine, sono emerse anche alterazioni patospecifiche alla DTI (Diffusion Tensor Imaging) rispetto ai controlli sani

Anche gli studi metabolici hanno contribuito ad una maggiore comprensione del morbo di Alzheimer evidenziando un incremento del rapporto mio-inositolo/creatina, un incremento nel rapporto Colina/creatina e una riduzione del rapporto N-Acetil-Aspartato/creatina. Questi dati sono risultati strettamente connessi al grado di deficit cognitivo e potrebbero indicare una perdita neuronale. Ulteriori studi con tecniche di imaging hanno messo in evidenza il legame tra l’incremento di questo rapporto e fenomeni come l’atrofia ippocampale e l’ipoperfusione della corteccia temporo-parietale. Infine, studi recenti hanno permesso di sintetizzare alcuni radiofarmaci per la PET marcati con il fluoro-18 che si legano selettivamente ai depositi di amiloide e che dai risultati pubblicati rappresentano un biomarker precoce e sensibile per la diagnosi di Alzheimer.

I limiti del Neuroimaging in Psichiatria

Per quanto positivi e indubbiamente incoraggianti siano i risultati delle ricerche basate sull’utilizzo del neuroimaging in psichiatria, non bisogna dimenticare che si tratta di strumenti che non hanno ancora raggiunto una validità incrementale, vale a dire che il loro utilizzo in ambito diagnostico non costituisce ancora un miglioramento sicuro rispetto alle tecniche utilizzate finora. Per questo, è sempre consigliabile una valutazione caso per caso che tenga conto anche dell’eventuale disagio – psicologico, fisico o anche di natura economica – che ulteriori analisi, oltre a quelle di routine, possono arrecare al paziente

Il neuroimaging in psichiatria è sicuramente utile per individuare anomalie organiche che possono causare i sintomi dei disturbi psichiatrici, ma, in un ambito più ampio, è largamente limitato dalle nostre mancate conoscenze del normale funzionamento del cervello. Un esempio è lo stesso assunto alla base del neuroimaging funzionale, ovvero la correlazione fra attività neurale e flusso ematico regionale: ad oggi non esiste un modello univoco che descriva la correlazione tra questi indici a livello molecolare o microscopico.

Anche nel caso in cui si decida per un utilizzo di queste tecniche, i risultati forniti dal neuroimaging vanno valutati accuratamente dal medico e presi in considerazione solo quando statisticamente significativi. Come per i test di laboratorio utilizzati in ambito psichiatrico, di fronte ai risultati il ruolo del medico non va annichilendosi, ma risulta anzi, la vera discriminante. 

Bibliografia

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Balestrieri M, BellantuonoC, Derardi D e alt. Manuale di Psichiatria. Il Pensiero Scientifico Ed. Seconda Ed, 2014

Stern TA, Fricchione GL, Cassem NH e alt. Massachusetts General Hospital. Handbook of General Hospital Psychiatry. Saunders Elsevir Ed 6, 2010

Buttner A. Neurophatology of Drug Abuse. Springer, 2021

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